Parere di Paolo Maddalena, giurista e magistrato italiano, già giudice costituzionale:
gli immobili di carattere storico e artistico sono, come diceva Massimo
Severo Gianni, “proprietà collettiva demaniale” del Popolo italiano, e
lo Stato, e comunque l’Ente pubblico, è solo “gestore”.
La vendita
(spesso svendita) di questi beni, che sono “demaniali” e pertanto
“inalienabili, inusucapibili e in espropriabili”, comporta un “danno
economico e culturale” alla collettività, danno che deve essre risarcito
dagli amministratori e dipendenti pubblici che hanno effettuato la
vendita attraverso un’azione popolare da esercitare davanti al Giudice
comune competente da parte di una Associazione ambientalista.
Ricordo che, a termine della legge 341 del 1990 “i portatori di
interessi diffusi” possono intervenire nel procedimento amministrativo
in corso e far sentire la propria voce al “responsabile del
procedimento” (art. 9).
Il Popolo ha la “proprietà collettiva
diretta” dei beni demaniali e una “superproprietà” sui beni privati di
interesse culturale e artistico, ai sensi dell’art. 42 della
Costituzione, che tutto subordina all’utilità sociale” e che “riconosce e
garantisce” la proprietà privata” soltanto se persegue la “funzione
sociale”.
Se il proprietario svolge una funzione “antisociale” (ad
esempio vende il bene, o licenzia i dipendenti) perde la proprietà
privata del bene, che diventa “proprietà collettiva” del Popolo a titolo
di sovranità, senza bisogno di versare indennizzi.
Devo precisare
che una legge assolutamente incostituzionale si oppone a questi principi
invalicabili: è il decreto legislativo n. 85 del 2010, firmato
Berlusconi Bossi (il cosiddetto federalismo demaniale), il quale va
portato all’esame della Corte costituzionale sollevando un ricorso
incidentale in uno dei processi ai quali ho fatto cenno e la Corte
costituzionale, secondo me, non potrà non annullarlo.