giovedì 14 gennaio 2016

... sulla svendita dei beni collettivi ...

Parere di Paolo Maddalena, giurista e magistrato italiano, già giudice costituzionale:

gli immobili di carattere storico e artistico sono, come diceva Massimo Severo Gianni, “proprietà collettiva demaniale” del Popolo italiano, e lo Stato, e comunque l’Ente pubblico, è solo “gestore”.  
 
La vendita (spesso svendita) di questi beni, che sono “demaniali” e pertanto “inalienabili, inusucapibili e in espropriabili”, comporta un “danno economico e culturale” alla collettività, danno che deve essre risarcito dagli amministratori e dipendenti pubblici che hanno effettuato la vendita attraverso un’azione popolare da esercitare davanti al Giudice comune competente da parte di una Associazione ambientalista.

Ricordo che, a termine della legge 341 del 1990 “i portatori di interessi diffusi” possono intervenire nel procedimento amministrativo in corso e far sentire la propria voce al “responsabile del procedimento” (art. 9). 

Il Popolo ha la “proprietà collettiva diretta” dei beni demaniali e una “superproprietà” sui beni privati di interesse culturale e artistico, ai sensi dell’art. 42 della Costituzione, che tutto subordina all’utilità sociale” e che “riconosce e garantisce” la proprietà privata” soltanto se persegue la “funzione sociale”. 

Se il proprietario svolge una funzione “antisociale” (ad esempio vende il bene, o licenzia i dipendenti) perde la proprietà privata del bene, che diventa “proprietà collettiva” del Popolo a titolo di sovranità, senza bisogno di versare indennizzi. 

Devo precisare che una legge assolutamente incostituzionale si oppone a questi principi invalicabili: è il decreto legislativo n. 85 del 2010, firmato Berlusconi Bossi (il cosiddetto federalismo demaniale), il quale va portato all’esame della Corte costituzionale sollevando un ricorso incidentale in uno dei processi ai quali ho fatto cenno e la Corte costituzionale, secondo me, non potrà non annullarlo.

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